ON THE ROAD … VERSO ORIZZONTI INFINITI

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Lasciata alle nostre spalle la polverosa Hollywood sign, partiamo per un’avventura fatta di paesaggi mozzafiato, strade infinite, sotto cieli sconfinati, lasciandoci trasportare in viaggio lungo le Highway degli Stati Uniti Occidentali.

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Ecco che ci accoglie la bandiera dell’Arizona, con i suoi raggi infuocati. L’atmosfera a Phoenix è rovente, ma, prima di giudicarla come una distesa di costruzioni squadrate, bisogna ascoltare quello che la città ha da dire. L’Heard museum testimonia la storia, le tradizioni, le arti e la cultura delle tribù native del Southwest, attraverso i loro manufatti e i loro racconti: madre Terra, padre Sole, il creatore li ha battezzati con il vento. Una forte connessione con la natura, gli alberi, le creature animali, venerati come figlie del Grande Spirito; ogni forma di vita deve essere rispettata. Il ciclo delle stagioni segna il tempo e le attività quotidiane; il senso di appartenenza alla famiglia e alla comunità è fortissimo, con gentilezza, lealtà, serenità. Gli anziani hanno il compito essenziale di narrare la Storia: le Storytellers, raffigurate come donne sedute ricoperte di bimbi, rappresentano la linfa vitale della comunità, mantenendo vive le tradizioni e la memoria. Una cultura affascinante, a tratti molto lontana dalla nostra frenesia quotidiana.

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Phoenix sa stupire, con le sue case circondate da giardini curati, gli eccentrici saloon di Scottsdale e il tramonto che incendia i grattacieli nel mezzo al deserto.

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Ed ora alla scoperta di Tucson, nel cuore del SonoranDesert. Questa è la terra dei saguari: enormi cactus secolari, con le loro buffe sagome, rese uniche dalla forma e direzione delle braccia; passeggiando tra tutte quelle spine, tisembrano proprio dei simpatici omini che indicano la strada. Tucson è rinomata anche per la cucina: si sa, gli Stati Uniti occidentali sono la patria dei fastfood e degli hamburger così alti che ti ci puoi nascondere dietro, ma, scegliendo il giusto Diner o Cafe, puoi imbatterti in un trionfo di sapori. A volte sono proprio i posti più spartani a celare i gusti più autentici. Sulle scomode panche di ferro di ElGuero Canelo, puoi gustare un hot dog nato dalla fusione di aromi messicani ed eccessi americani: il Sonoran hot dog, avvolto nel bacon, ricoperto di salsa tomatillo, fagioli pinto, scaglie di formaggio, maionese, ketchup, senape, pomodoro e cipolla!

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L’Arizona è anche un set a cielo aperto per il perfetto film western. A Tombstone nell’Ottocento il whisky scorreva a fiumi e le dispute si risolvevano a colpi di pistola. Sembra che il tempo si sia fermato al leggendario mattino del 26 ottobre 1881, quando i fratelli Earp e Doc Holliday ebbero la meglio sui cowboy McLaury e Billy Clanton; i colpi di pistola dell’Ok Corral risuonano ancora e l’atmosfera è spettrale nel Boot Hill Graveyard, dove riposa “chi è morto nei propri stivali”.

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Proseguiamo il viaggio sulle orme di Billy the Kid, nella Terra dell’Incanto, il New Mexico. Un’infinita strada nel nulla, finché non s’intravedono dune bianche: il paesaggio lunare di White Sands National Monument, il pianeta dell’alieno David Bowie nel film L’uomo che cadde sulla Terra. Dune di gesso bianco, spazzate dal vento e illuminate dalla luce viola del tramonto, offuscato dalle nubi nere del temporale in lontananza. L’odore di ginepro, l’aria fresca, i colori, la voglia di esplorare…

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Il mattino dopo è la Billy the KidScenicHighway a condurci a Lincoln, con stretti passaggi tra foreste di pini e montagne rocciose. Ogni viaggio negli Stati Uniti è fatto di lunghe ore di guida, ma i paesaggi attraversati, profondamente diversi da stato a stato, sanno decisamente stupire e con la giusta colonna sonora le miglia scivolano via velocemente.

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Lincoln, piccola cittadina nella Sierra Blanca, è una tappa obbligatoria per gli appassionati di storia del West. Le sue strade erano le più pericolose d’America ai tempi della Lincoln County War nell’Ottocento: i Regulators cercavano vendetta per i compagni persi e Billy the Kid mieteva vittime. Fu catturato ma riuscì ad evadere, fregando la sua guardia; il foro della pallottola da lui sparata è una specie di meta di pellegrinaggio, ma d’altronde il selvaggio West e i suoi duelli rappresentano una buona fetta della storia degli Stati Uniti. Fa sorridere pensare a quel buffo faccino scarmigliato, divenuto un fuggitivo quando era un ragazzino pelle e ossa, noto per essere amichevole, gentile, di bell’aspetto e agile come un gatto; molto abile con le armi da fuoco, era allo stesso tempo un intrepido fuorilegge e un eroe popolare e cavalcava fiero in questa brughiera.

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Decisamente tutt’altro paesaggio ci attende nelle Carlsbad Caverns. Nelle Guadalupe Mountains, quasi al confine con il Texas, si nasconde un magico ed etereo mondo di stalattiti e stalagmiti; una passeggiata di 2 km a 240 m sotto il suolo, tra formazioni modellate dalla natura da 265 milioni di anni. La fantasia vola; puoi scorgere villaggi di fate, giganti seduti, totem imbronciati.

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L’avventura prosegue “alla ricerca degli alieni”, nella città illuminata da lampioni con la sagoma di teste bulbiformi: Roswell. Nel 1947 un oggetto misterioso si schiantò in un ranch nelle vicinanze; Mack Brazel, il proprietario, racconta di strani resti di materiale simile a fogli di alluminio grossi quanto un campo da football. Come si recò dallo sceriffo, entrò in gioco l’aeronautica militare, che si diede un gran da fare per occultare la notizia, simulando un incidente con un pallone metereologico. Per molti si trattò della prova definitiva: gli alieni erano atterrati! La cittadina ha minuziosamente raccolto ogni testimonianza nell’Ufo Museum, dove puoi leggere il racconto di Glenn Dennis, un’assistente funeraria che ricevette una strana telefonata su come conservare dei corpi, o di un’infermiera che assicura di aver visto in ospedale bizzarre salme; persino alcuni militari, anni dopo, ritrattarono la propria versione. Mack Brazel invece portò il segreto nella tomba, eccetto per la criptica affermazione “Theyweren’t green!”. Ora le boutique piene di chincaglierie e gadget di alieni hanno l’odore degli anni Ottanta, ma testimoniano un passato acceso entusiasmo. Beh, come non esserne parte per un breve istante?

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Il New Mexico è anche la terra di graziose città, nate da villaggi ispanici in “adobe”, con piccole case basse color argilla, circondate dai tipici giardini americani, con macchina parcheggiata nel vialetto, prato impeccabile ed immancabile canestro: questa è l’atmosfera nella scicchettosa  Santa Fe, con le sue eleganti gallerie d’arte all’aperto ed i ristoranti di cucina messicana in versione ricercata, o nella controversa Albuquerque. Quest’ultima è un crocevia di strade nel deserto, con la Route 66 che attraversa la quieta Old Town, all’ombra delle vette delle Sandia Mountains. La città ha alcuni eclettici musei come il Rattlesnakemuseum, che racchiude un’incredibile collezione di serpenti a sonagli, sommersi da mille altri oggetti kitsch, ma è diventata famosa più che altro per essere stata lo sfondo della celebre serie Breaking Bad. Così la casa di Walter White è stata recintata, per non essere presa d’assalto dai fan curiosi.

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Imbocchiamo la Mother Road per continuare il giro e tornare verso l’Arizona. Inaugurata nel 1926 per collegare la vigorosa Chicago con l’assolata Los Angeles, la Route 66 fu molto usata negli anni della Grande Depressione (gli anni Trenta) e raggiunse il suo massimo sviluppo nel Dopoguerra, quando la nuova agiatezza economica spinse gli americani a viaggiare e divertirsi. Fiorirono Drive-inn, motel dalle insegne scintillanti, eleganti pompe di benzina, piccole graziose città lungo strada. Vent’anni dopo il Governo realizzò una moderna autostrada parallela e…La Route 66 sembra essersi fermata ai gloriosi anni ’50, con atmosfere da film di James Dean e città fantasma, polverose ma affascinanti.

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E’ proprio la Mother Road a condurti nelle meraviglie naturali che rendono unica questa zona degli Stati Uniti. Gli altopiani lungo strada cominciano a tingersi di varie sfumature di rosso, le montagne si alternano a distese di nulla. I tir avanzano pesanti e lunghi treni merci sfrecciano a lato. Vecchi trading post vendono oggetti di artigianato dei nativi; ci stiamo avvicinando alla Navajo Nation.

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225 milioni di anni fa c’era una foresta pluviale, con dinosauri e mostri marini; gli spostamenti della crosta terrestre, i cambiamenti climatici, l’erosione  di vento e pioggia hanno creato il Painted Desert. I colori variano dall’ocra al rosso, dal verde all’argento, dal celeste al rosa, con striature viola. Sembra di camminare tra dune fatte di pelle di elefante, ma con i colori di un quadro di Monet e gli uccelli del famoso film di Hitchcock che gracchiano minacciosi.

 

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E gli alberi dove sono finiti? Gioielli di quarzo e silice splendenti tra le rocce; i tronchi caduti, sepolti dai sedimenti delle eruzioni vulcaniche, si sono cristallizzati ed ora luccicano, raccontando ere lontane, con tutti i loro colori, rosso, giallo, arancio, bianco candido. La PetrifiedForest, racchiusa nel Painted Desert, è un posto incredibile che narra una storia antica, giocando con i colori.

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Per strada, puoi trascorrere la notte in piccole cittadine come Winslow: quattro case, un motel, due pompe di benzina, un ristorante che serve bisonte, tutto avvolto nel rosso del tramonto, sotto il cielo dell’Arizona reso famoso dalle canzoni degli Eagles.

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“Experience the impact” suggeriscono i cartelli lungo la Route 66, nelle vicinanze di Flagstaff: siamo al MeteorCrater, un cratere alto come un palazzo di 60 piani e largo come 20 stadi da football (vale a dire alto 180m e largo 1,6km). 50000 anni fa un meteorite da est ha attraversato l’atmosfera alla velocità di 64000km/h e nell’impatto si è polverizzato, lasciando un’enorme voragine. Per questo per anni si è ritenuto si trattasse di un cratere vulcanico. Fu osservando la somiglianza con i risultati degli esperimenti di lancio delle bombe atomiche che si capì la sua vera origine. Camminare sulla cresta del cratere è vertiginoso, si intuisce tutta la forza della natura, che può cambiare il corso della vita con bombardamenti naturali… Un cartello ricorda: “No less can be expected in the future!!!”.

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Flagstaff con le sue case di mattoncini e l’odore di BBQ nell’aria è una buona tappa prima di tuffarsi tra i canyon e la notte vale la pena affacciarsi al Powell Observatory, famoso per il primo avvistamento di Plutone, per osservare un “cielo a pois”.

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Il mattino dopo, giù tra le formazioni di arenaria rossa dell’Oak Creek Canyon, in una strada vorticosa, lungo il torrente, protetto da foreste di pini. Siamo nella mistica Sedona, luogo di pellegrinaggio per i seguaci della cultura new age: in questo posto si celano quattro importanti vortici irradianti l’energia della Terra, quattro rocce che si elevano con le loro singolari forme dal cuore del canyon. Il verde della foresta, il profumo delle conifere, il rumore dell’acqua che scorre, il contrasto dei colori…è effettivamente un posto vibrante. Qui Frank Lloyd Wright incastonò nella roccia la stretta ed alta Chapel of the Holy Cross, realizzata con una forma che sembra proprio unire terra e cielo, in un  minuscolo spazio proiettato sul canyon dalla vetrata dietro l’altare.

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Sosta a Wiliams, lungo la Route 66: porta per il Grand Canyon dal 1881, conserva un mix di atmosfera western, con un tocco di anni Cinquanta, tra diner con enormi barbecue e saloon che servono birra artigianale.

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In 6 milioni di anni il Colorado River ha modellato e scavato le rocce, portando alla luce strati sempre più antichi: toglie il fiato affacciarsi dal Rim. E’ difficile descrivere ciò che lo sguardo abbraccia: aspri altopiani, pinnacoli di roccia, creste color porpora, con sfumature bianche; il fiume scorre in una serie di anse tortuose.

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Le ombre si allungano, i colori diventano più brillanti; man mano che il sole scende, ad est le rocce sembrano prendere fuoco, mentre la gola ad ovest è sempre più spettrale, nella penombra che lascia intravedere solo i profili dei faraglioni. E’ il tramonto sul Grand Canyon, scendendo lungo il KaibabTrail fino a OooAaa Point.

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Il viaggio attraverso i Parchi prosegue in Utah, lo Stato Alveare (Beehive State), famoso per essere il luogo di nascita di Butch Cassidy e per la poligamia, praticata ormai solamente da un ristretto gruppo di mormoni residenti a Hilldale-Colorado City.

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Proprio al confine tra Utah e Arizona, ecco stagliarsi il profilo delle butte rosso fuoco che hanno fatto da sfondo a tanti film western; la Monument Valley, un luogo tutt’ora sacro per i Navajo. Il sole rovente, la strada polverosa, i massicci e le guglie che si ergono dal Colorado Plateau; una selvaggia cartolina lunga la strada che prosegue dritta attraverso il deserto.

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Scivolando tra le dune rocciose color zafferano, superando piccoli paesi ormai divenuti ghosttown, con motel abbandonati, pompe di benzina arrugginite ed insegne cadenti, eccoci nelle gole scolpite in 65 milioni di anni dal Colorado River e dal Green River.

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Affacciandosi dal bordo del canyon a Dead Horse Point i brividi salgono lungo la schiena e torna in mente la famosa scena finale di Thelma & Louise. Il fiume verde crea delle anse strette; la roccia rossa è modellata con pareti a strapiombo; in alto il cielo azzurro spazzato dal vento. Un luogo dal fascino primordiale, una visione aspra, segreta, sicuramente vertiginosa. Qui i cowboy portavano i cavalli selvaggi, li conducevano su una stretta lingua di terra e selezionavano quelli in grado di sopravvivere, mentre gli altri li abbandonavano al loro destino, tra i dirupi. Furono trovate molte ossa di cavallo e così si scelse di dare al canyon il nome Dead Horse Point.

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Non lontano si trova un altro spettacolare luogo modellato dalla natura, in particolare da acqua e vento: Arches National Park, dove è racchiusa la più alta concentrazione al mondo di archi di arenaria, oltre 2000 di varie forme e dimensioni. Stare in piedi in mezzo a queste enormi cornici create nei millenni è vorticoso e specialmente al tramonto merita intraprendere la lunga camminata per raggiungere il simbolo del parco: Delicate Arch. Sembra di arrampicarsi su Marte, su lisce rocce rosse, superando stretti passaggi, aggrappati alla parete. Poi, però, tutta la fatica è ricompensata: l’arco si staglia sul dirupo, creando una finestra sulle dune azzurre del deserto roccioso; una bellezza fragile, eppure maestosa.

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Lo Utah è punteggiato anche di piccole cittadine, come Green River, famosa per l’anguria, Hanksville, base per lo studio del pianeta Marte proprio per la similarità del territorio circostante, o la minuscola Circleville, circondata da montagne. Quando furono fondate, nella seconda metà dell’Ottocento, erano fiorenti città minerarie, che vivevano di agricoltura, commercio di pietre preziose ed erano rifugi per i banditi; ora sono immerse nella quiete, piuttosto disabitate, ma talvolta riservano sorprese come un succulento pranzo a base di manzo sfilacciato ricoperto di mostarda al miele, o una galattica colazione alla maniera di Butch Cassidy, con pancake affogati in salsiccia e formaggio.

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Uno dei parchi più spettacolari dello Utah è sicuramente il Bryce Canyon; un luogo incantato, che sembra creato da un bambino che gioca con la sabbia bagnata. Un anfiteatro scavato nella roccia, disseminato di pinnacoli, picchi, guglie e spirali dal colore rosato, con particolari formazioni simili a totem dette hodoo; il tutto incorniciato da foreste di pini. Scendendo lungo lo stretto sentiero, sembra di stare in un villaggio delle fate; gli occhi viaggiano e la mente si perde in caleidoscopiche fantasie. L’aria è incredibilmente fresca; i pini si fanno strada tra le rocce verso il cielo; alcuni pinnacoli assomigliano proprio a faccioni sorridenti o imbronciati.

E’ ora di ripartire, attraversando il deserto, diretti verso il Nevada, the Silver State, famoso per il tintinnio delle slot machine e per il Burning Man. Qui gli eccessi sono legali, dai piccoli bordelli al gioco d’azzardo e convivono fianco a fianco con la cultura dei mormoni e dei cowboy. Cosa c’è di meglio per assaporare l’atmosfera se non gettarsi nella folle Las Vegas?

All’inizio vi era solo qualche polverosa sala da gioco; la costruzione della ferrovia che collegava Salt Lake City a Los Angeles, nel 1902, la catapultò nell’era moderna; la legalizzazione del gioco di azzardo, nel 1931, diede un impulso all’espansione; il gangster Ben BugsySiegel, nel 1946, la rese sfavillante, con la costruzione del celebre casinò a tema tropicale, il Flamingo. Varie Star accorsero per dare vita a spettacoli scintillanti, come Frank Sinatra e le ballerine delle riviste francesi.

Durante la Guerra Fredda, le esplosioni nucleari, nel vicino Nevada Test Site, facevano tremare i vetri dei grattacieli, ma erano anche motivo di vanto e attiravano centinaia di curiosi, richiamati da Miss MushroomCloud.

Negli anni ’90 le grandi società di capitali iniziarono a finanziare resort sempre più grandi e spettacolari, in una corsa all’eccesso perennemente proiettata al futuro. Così ora il Neon museum è un vero e proprio cimitero delle insegne che hanno segnato la storia della città: quasi tutte spente, un po’ ammucchiate, talvolta arrugginite, raccontano l’espansione di Sin City, ogni anno più luminosa, sfavillante, esagerata, cercando di superare i limiti, vera icona dunque del sogno americano.

Las Vegas di giorno è rovente, sicuramente eccentrica; sposine sudate si affrettano lungo strada, dirette verso chissà quale cappella…drive thru? Cerimonia celebrata da Elvis? O a tema gotico?

Ma al tramonto si accendono le insegne e la strip si adorna di un’eleganza inaspettata, mentre nella vecchia Freemont la musica stordisce, lo spettacolo di luci acceca e… tutto è concesso, persino volare con una zip line sopra la folla.

Se siete in vena di brividi, lo Stratosphere è un’ottima idea: al 110° piano, sul tetto di questo casinò, vi attendono montagne russe, una torre a caduta libera per 16 piani, una giostra che tiene sospesi nel vuoto e volendo lo SkyJump, un “estremo salto” oltre il bordo del grattacielo.

Beh, a Las Vegas poi puoi passeggiare nella Ville Lumière, proprio sotto la Tour Eiffel; girare in gondola a Venezia; cenare sopra la fontana di Trevi al Caesar Palace, gustando un ottimo sushi dello chef Roku e poi assistere all’esplosione del vulcano del Mirage, o allo spettacolo di spruzzi delle fontane del Bellagio. Puoi decidere di non rischiare la fortuna nelle sale da gioco, dove non vi sono orologi perché è sempre il momento giusto per tentare; puoi sentirti a tratti un po’ troppo stordito da musica, suoni, luci, profumi, ma a modo suo, sospendendo per un po’ il giudizio, Las Vegas saprà strapparti un sorriso e un “Oooh!” di meraviglia.

Il mattino seguente, due ore di guida nel nulla del deserto del Nevada diretti verso uno dei luoghi più caldi: la Valle della Morte, in California. 123 Gradi Fahrenheit, 50°C; è come essere una meringa in un forno ventilato, ma il panorama da Dante’sView lascia a bocca aperta: le saline bianco cristallino, circondate dalle montagne brulle, rocciose, ma variopinte con tinte forti, ocra, prugna, bordeaux, avio e striature verde acqua.

Badwater è il punto più basso degli Stati Uniti, 86m sotto il livello del mare, dove è rimasta una crosta di sale, a creare una sorta di inferno bianco; in lontananza si vede invece il Mt Whitney, il punto più alto degli Stati Uniti, e nel mezzo questa tavolozza di colori incredibili.

Percorrendo una lunga highway tra i frutteti della California, tutt’altro paesaggio ci attende sulla Sierra Nevada, proprio all’ombra del Mt Whitney: la strada in salita diviene tortuosa e tra i tornanti cominci a intravedere tronchi sempre più grandi. E’ la GiantForest nel Sequoia National Park, dove si concentrano queste creature immense, paragonabili a saggi e secolari giganti, capaci di sopravvivere persino agli incendi: le sequoie. Camminiamo nella foresta con il naso all’insù, inebriati dal profumo della resina, nell’aria fresca, riscaldata da qualche coraggioso raggio di sole, mentre gli scoiattoli impertinenti saltellano ovunque, fino ad arrivare al Generale Sherman, la sequoia più grande del mondo (11m di diametro alla base). E’ impressionante: sovrasta la foresta con i suoi 2200 anni; sembra davvero sussurrare qualcosa.

Ultima meta di questo lungo viaggio è San Francisco, città della nebbia, della stravaganza e della fantasia. Nel 1849 la corsa all’oro trasformò un villaggio di 800 persone in un centro di 100000 abitanti, attirando cercatori d’oro, imprenditori e centinaia di commercianti cinesi. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i soldati accusati di omosessualità venivano mandati qui e la città acquisì la fama di polo della controcultura. La Summer of Love del 1967 fu un’ondata di cibo gratis, sesso libero e musica per tutti nel quartiere hippy di Haight, mentre un gruppo di attivisti gay fondò una comunità orgogliosa e alla luce del sole a Castro. San Francisco divenne così un luogo in cui poter essere se stessi, un centro attivo nel propagandare la libertà e i diritti di ogni minoranza, rivoluzionario ed eclettico. Il suo profilo è segnato dall’elegante Golden Gate, sopra la scogliera, perennemente battuta dal vento; a Baker Beach, però, la sabbia è calda ed un gruppetto di persone fa yoga sulla riva.

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La città è variegata: a Haight il tempo si è fermato alle 16:20 di quell’estate di ribellione e per le strade odore di marijuana e incenso; a Castro sventolano le bandiere della Pace; Mission è colorata dai murales che incoraggiano la cultura come arma per la libertà, ispirandosi all’arte di Diego Riveira; le lanterne rosse di Chinatown fanno da cornice ad un dedalo di vicoli che sono stati set per film come Karate Kid e Indiana Jones. Il leitmotif sono le casette vittoriane color pastello e le ripide colline, percorse dalla storica Cable Car, che sferraglia su e giù con i passeggeri aggrappati fuori.

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Tappa immancabile è il Pier 39, dove dimora una colonia di leoni marini e dove puoi gustare il famoso granchio al Fisherman’sWharf, tassativamente da sgranocchiare con le mani, spolpando fino all’ultima chela. E al tramonto, salutare Alcatraz, arroccata su un’isoletta la davanti, minacciosa, battuta dal vento, ormai disabitata, ma ancora piena di storie e segreti da narrare.

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Questa è stata la nostra avventura on the road, fatta di molte miglia in viaggio, tra orizzonti infiniti, sbirciatine in piccole città o in grandi metropoli, sentieri nei canyon e nelle foreste e…diner, barbecue, hot dog, sempre con una montagna di patatine!!

 (Camilla Mori)